La stampa di partito è sotto accusa a Cuba, con una veemenza che non si riscontra neppure nelle democrazie europee, dove la concentrazione nella proprietà dei mezzi di comunicazione di massa rende il dibattito sulla libertà d’informazione non meno risibile. Anche l’ultimo glorioso bastione della rivoluzione castrista è sotto il fuoco d fila della critica. Di questo dibattito dagli accenti inediti se ne sta facendo carico la rivista cattolica Espacio Laical, forte della protezione del cardinale di l’Avana Jaime Ortega.
I giornali sono “apologetici, acritici, la stampa cubana non riflette i problemi e le preoccupazioni della popolazione” accusa il politologo Esteban Morales dalle pagine della rivista. “Agisce unicamente come espressione della posizione e delle opinioni del governo e non come un mezzo per informare obiettivamente e criticamente sulla realtà degli avvenimenti nazionali e internazionali che succedono” in casa e fuori casa.
E’ in ritardo anche rispetto all’orientamento riformatore di Raul Castro, rincara Jorge Gomez Barata, giornalista e scrittore spesso recensito dal quotidiano di partito Gramna: La stampa cubana “è immobile a prima del crollo del socialismo, con gli stessi criteri di giudizio importati dall’Unione Sovietica pre-crisi, ferma nel tempo come se negli ultimi 20 anni non fosse successo niente”.
Per un universo di otto milioni di lettori circolano a Cuba due quotidiani, Gramna e Juventud Rebelde, un settimanale, Trabajadores, e una rivista quindicinale, Bohemia, tutti con tiratura limitata e praticamente circoscritti all’ufficialità del Partito comunista cubano. Per giunta la loro autorità agli occhi dei cubani è minima e si assottiglia sempre più quanto più aumenta la facilità di accesso delle persone ad altre fonti informative. Internet, radio straniere, articoli e opinioni che circolano per posta elettronica, erodono il residuo di credibilità della stampa ufficiale e aumentano il disinteresse verso quello che vi si pubblica. Una informazione incontrollabile, quella che filtra dall’etere attraverso le fessure aperte nel muro della propaganda di regime dallo stesso Raul Castro. Sono i blog, i siti web spontanei o che si appoggiano su nuclei di intellettuali e professionisti sempre più inclini a dibattere le sorti di Cuba e delle riforme necessarie alla modernizzazione dell’asfittico socialismo. Temas, Criterios, Observatorio Critico, La Ceiba, Espacio Laical, Cofradia de la Negritud, Moncada, Boletín SDP… sono solo alcune delle testate che si scoprono nel mondo del cyberspazio. “In ogni momento questi blog immettono nella società un tipo di informazione più realista, rivoluzionariamente critica, di maggior spessore intellettuale, che corrisponde molto di più a quello che la gente sente di dover ricevere” commenta Morales, premio annuale della critica dell’Istituto del libro cubano.
“I direttori dei media nazionali aspettano segnali dall’alto ogni volta che c’è un tema delicato”, nota Fernando Ravsberg, corrispondente della BBC a Cuba. “Nessuno si azzarda a pubblicare qualcosa finché il Dipartimento Ideologico del Partito comunista non si è pronunciato”. “Se prendiamo le news internazionali dei notiziari televisivi cubani” gli fa eco Esteban Morales “vedremo che ripetono tutti un medesimo schema, tutti i giorni lo stesso, identico in ogni edizione… persino Telesur, la televisione a trazione venezuelana, non è la stessa a Cuba che in altri posti dell’America Latina”.
La rivoluzione assediata, la rivoluzione minacciata dall’esterno – leggi Stati Uniti – la rivoluzione screditata dalle quinte colonne che operano all’interno, la rivoluzione che occorre difendere occultando le debolezze di cui potrebbero approfittare gli avversari, l’argomento con cui sempre è stato respinto ogni pur esile tentativo riformatore oggi fa acqua da tutte le parti e anche un ortodosso come Luis Sexto, premio nazionale di giornalismo cubano, ammette che non si può più equiparare il presente con il passato della stampa rivoluzionaria.