IL FRATELLO DI CHE GUEVARA RINGRAZIA IL PAPA. “La sua gestione della vicenda è stata propria di un religioso, ma con una visione a lungo termine politica o geopolitica”

I due fratelli, Ernesto e Martín
I due fratelli, Ernesto e Martín

Cosa penserebbe il mitico Che Guevara del salto nei rapporti tra Cuba e Stati Uniti? “Proprio non lo so”, ammette Juan Martín Guevara, uno che il rivoluzionario argentino lo conosceva bene: del “Che” è infatti il fratello minore. “Il mondo è molto cambiato in questi anni” risponde allargando le braccia, e non nel senso voluto dal fratello maggiore.

Intervistato dal giornale argentino “MDZ”, il più piccolo dei cinque fratelli Guevara non si è risparmiato in elogi e ringraziamenti verso Papa Francesco. “La sua gestione della vicenda è stata propria di un religioso, ma con una visione a lungo termine politica o geopolitica”. Si è poi detto speranzoso che il compito di Bergoglio trovi terra fertile “ovunque ci siano conflitti” e che “raggiunga risultati come questo, positivi”. Aggiungendo: “Occorre appoggiarlo per tutte le attività di pacificazione che può fare, tra i paesi e tra la gente”.

Ma oltre ad essere il fratello del leggendario Che – “essere suo fratello è una parte di me: in due opportunità hanno sparato contro casa mia, una volta nascosero una bomba. Non era una roba da niente. E nemmeno era molto divertente” – Martín Guevara è uno che Cuba la conosce bene per un altro motivo. È, infatti, presidente di un’azienda che commercia sigari cubani, vendendoli anche negli Stati Uniti. Una occupazione che dal disgelo tra i due paesi non potrà che trarre benefici. L’accordo “sarà vantaggioso non solo per i cubano-americani: qualunque nordamericano potrà viaggiare e commerciare” osserva Guevara. Del resto, già adesso “ogni anno ci sono tra i 150 e i 180 mila viaggi cubani che dagli USA viaggiano a Cuba. Certi giorni si realizzano fino a 10 voli. Perfino quelli che criticano il nuovo corso, anche se non lo dicono pubblicamente, stanno aspettando che ci sia normalità nelle relazioni”.

E la sua esperienza, se da una parte lo porta a negare gravi carenze nell’isola caraibica (“se si compara questo piccolo e povero paese con Haiti, la differenza si vede. O anche se lo si paragona con Nicaragua o Honduras. È un paese allegro, che vive pensando e rispettando le proprie convinzioni”), dall’altra gli fa ammettere che “Cuba non poteva continuare così”. Per Guevara – che da giovane è stato otto anni in carcere (tra 1975 e 1983) durante la dittatura militare argentina per formar parte del “Fronte Antimperialista per il Socialismo” – per l’isola il futuro è segnato. “Dopo la caduta dell’Unione Sovietica il capitalismo si è esteso agli altri paesi che non avevano adottato quel sistema. Rimane solo Cuba, una piccola isola di 12 milioni di abitanti. Non si poteva pretendere che da sola trascinasse il mondo verso un altro sistema che non fosse quello dominante”.

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