“Guacho” è un termine molto diffuso in Argentina, e ben radicato nella tradizione orale. E’ un paronimo di gaucho, cioè – come recita il dizionario della lingua italiana Sabatini-Coletti – “una parola di significato diverso da un’altra, ma simile nella forma, per cui si può supporre erroneamente un rapporto di derivazione etimologica”. In questo caso guacho non designa il mandriano delle pampas argentine, e nemmeno il contadino che vive isolato nel suo paramo, come invece è nell’uso squisitamente letterario. Scavando più a fondo oltre la coltre immediata il termine ha assunto nel corso del tempo una certa equivalenza con orfano, e anche se in origine la parola era usata solamente in riferimento al cucciolo di animale quando viene separato dalla propria madre, o dall’uomo come accade nell’allevamento dei vitelli (l’attività di cria, la chiamano gli argentini), poi il significato è andato cambiando fino ad assumere la forma figurata che estende l’orfanezza anche agli esseri umani. Così diventa guacho chi rimane solo di fronte al mondo, prematuramente separato da chi dovrebbe prendersi cura di lui e introdurlo nel rapporto fruttuoso con la realtà animata o inanimata che lo circonda. Con una ulteriore estensione nell’applicazione del significato venivano ad essere guachos, orfani, anche i figli illegittimi, quelli che non avevano un padre riconosciuto e che erano addirittura stati abbandonati dalle loro madri o da entrambi.
Diciamo perciò che guacho non è una parola allegra, meno ancora quando fosse pronunciata in un certo contesto. ¡Sos un guacho! può addirittura suonare come un insulto agli orecchi di chi viene apostrofato in questo modo, se chi lo dice sminuisce l’altro per il fatto che non ha madre, che in fondo in fondo è l’unica relazione vera di appartenenza ad un’altra persona. Lo aveva già sancito il Diritto Romano: “Mater semper certa est”. Per il popolo chi rimane orfano è minorato nel cuore, nell’affetto, un giovane sfortunato che dovrà lottare molto nella vita. Si capisce che la parola, da come e da quando viene usata, possa racchiudere una gradazione di sentimenti che vanno dal compatimento al disprezzo.
Papa Francesco usa il termine guacho in un modo consapevolmente diverso, ed infatti lo associa subito alla Madonna: “Non si può essere un guacho nell’amore di Maria. Non possiamo sentirci orfani con una madre così”. Ne abbiamo avuto un chiaro esempio qualche settimana fa. Parlando a radio “Virgen del Carmen FM 99.9”, di Campo Gallo, sconosciuto paese di Santiago del Estero – una delle provincie più povere, feudali e affette dalla corruzione della Repubblica Argentina – il Papa ha fatto ricorso con spontaneità ad un linguaggio d’uso corrente tra gente di campagna a cui si dirigeva, che sapeva che lo stavano ascoltavano, un linguaggio spoglio e allo stesso tempo carico di significati accettati comunemente e riconosciuti: “Bisogna avere il coraggio di non farsi rubare la speranza” ha detto alle persone che lo ascoltavano nel chiuso delle case, nelle automobili, nei mercati e nelle strade… “La vita è per spenderla, giocarla, per darla…” ha spiegato, esortando chi lo ascoltava a non avere paura, per poi aggiungere: “Bisogna puntare a cose grandi”, per far capire a chi era sintonizzato sulla sua frequenza che non era solo nella vita, che non doveva avere timore perché poteva contare su una Madre che si prendeva cura di lui. E gli ha parlato di Lei con le stesse parole semplici, piene di amore e di speranza.
Sappiamo che Campo Gallo, fin dove arriva il segnale FM99.9, si era fermato ad aspettare il collegamento telefonico. Tutti gli abitanti del paese e dei dintorni ascoltavano Francesco, pendevano dalle sue labbra. Improvvisamente la loro giornata non era più una tra le tante, l’animo delle persone era cambiato. “Il nostro popolo non si sbaglia, adora solamente Dio Padre, Figlio e Spirito Santo” si sentivano dire. “Il nostro popolo si lascia curare dalla Madre. Sa che si prende cura di noi, sa che è in cielo. Le vuole bene, la onora, non la adora perché sa che l’adorazione è solo per Dio. Noi non siamo guachos, abbiamo una mamma, la Madonna, che il popolo non adora, ma a cui vuole bene e onora. Un figlio senza madre ha l’anima mutilata. Un popolo senza madre è un popolo guacho”. Ecco la parola in questione che ritorna, eccola usata nel suo nuovo significato, quello di accentuare, per opposizione, una maternità infallibile e potente. Ce lo hanno detto delle persone che erano a Campo Gallo: più di una lacrima è scesa su più di una guancia. Le parole di Francesco ricordavano carezze d’altri tempi, di altre madri che non c’erano più e che potevano essere sostituite solamente dalla Madre celeste.
E a quel punto il Papa ha derivato dal primo termine – guacho – un aggettivo che può anche non essere stato capito da tanti, ma che per tutti quelli a cui stava parlando era ben chiaro: aguachado. E’ “aguachado” un animale quando è vinto, quando è stato domato, quando obbedisce al morso delle briglie. Voi – ha detto il Papa – non siete così, “aguachados di solitudine, aguachados di idee allo stato puro prive della tenerezza di una mamma”. Un altro modo per mettere ben in chiaro che “Il nostro popolo non è guacho, il nostro popolo ha una Madre”.
Anche se uno lo sa, anche se uno lo riconosce con l’intelletto, che importante che ci sia qualcuno ce lo ricordi! Che importante che non ci dimentichiamo che c’è sempre una Madre che ci aspetta! Sapendo che in Lei, attraverso di Lei, c’è un riconfortante ritorno a casa.
Traduzione dallo spagnolo di Mariana Gabriela Janún
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