Intrighi, depistaggi, diffamazione, c’è un po’ tutto nella morte del vescovo di La Rioja Enrique Angelelli del lontano agosto del 1976. Da un paio di mesi ci sono anche i colpevoli. E tante verità ristabilite di cui si sta facendo portavoce il suo successore, Marcelo Daniel Colombo. Monsignor Colombo, 53 anni, laureato in giurisprudenza nell’università di Buenos Aires, sta lavorando assiduamente alla causa di beatificazione del vescovo assassinato, una sorta di Romeo sudamericano. “In questo preciso momento ci troviamo nella tappa di raccolta dei documenti” conferma con puntiglio da giurista: “Il processo e la sentenza del tribunale penale è recente ed era necessario attendere che venisse emessa”. Intanto nel nome di Angelelli aprirà una cattedra di Dottrina sociale della Chiesa “destinata ad offrire ai dirigenti dei partiti politici, movimenti e attori sociali, in un clima di dialogo e di rispettosa ricerca della verità, gli insegnamenti sociali della Chiesa su temi diversi che hanno a che vedere con lo sviluppo della società”. Una società ancora scossa dal verdetto.
Cos’è successo dopo la condanna all’ergastolo dei due ex ufficiali dell’esercito Menéndez e Estrella?
L’impatto della sentenza nella società è stato forte, tanto in Argentina come a livello internazionale. Molti di coloro che erano stati catechisti o collaboratori al tempo di Angelelli hanno vissuto la sentenza con sollievo. La mancanza di giustizia su un fatto così drammatico era un peso grande sulle loro spalle. Alcuni sacerdoti e dei laici di altre diocesi mi hanno detto che avevano sempre pensato che fosse stato un incidente. E’ una persuasione questa dell’incidente fortuito, non provocato volontariamente per eliminare il vescovo, che si era estesa molto. Adesso la giustizia ha messo le cose al suo posto.
Per tanti altri però che si sia dimostrato l’assassinio non è stata una sorpresa…
La gente semplice, cattolici e no, hanno visto confermato quello che sapeva già. Ci sono persone che ricordano quando il giorno della veglia funebre di Monsignor Angelelli sua mamma gli mise la mano sotto la testa e cominciò a ripetere “me l’hanno ucciso, me l’hanno ucciso”. Tanti poi ricordano che il giorno dell’assassinio una commissione militare è venuta in arcivescovado intenzionata ad entrare nell’ufficio e nella camera da letto del vescovo. Vennero fermati dal vicario generale di allora. Che senso aveva, se si trattava di un incidente, irrompere nella casa di chi lo aveva patito? Sin dal primo momento c’erano elementi per presumere che la versione precipitosa dell’incidente casuale non fosse vera e molti qui a La Rioja lo sentivano. Che i giudici lo abbiano confermato con tutto il peso di una indagine, ha avvalorato quello che pensavano.
Durante il processo, che lei, lo sappiamo, ha seguito da vicino, c’è qualcosa di cui è venuto a conoscenza e che non sapeva sino a quel momento?
Posso dire di aver preso maggior conoscenza, quindi coscienza, del clima di persecuzione che viveva in quegli anni la Chiesa riojana. Ho ascoltato testimonianze e preso visione di prove molto eloquenti in questo senso.
Qualcosa in particolare?
Mi ha molto colpito la ricostruzione testimoniale dell’incidente che venne provocato per eliminare monsignor Angelelli; di più, mi ha commosso conoscere meglio la sofferenza di quest’uomo nei momenti finali della sua vita.
Vuol dire sofferenza fisica?
Si; avevo letto dei resoconti in proposito, ma ascoltarlo a viva voce in una sala d’udienza è stato un impatto molto forte. E’ fisica anche la sofferenza morale che ha vissuto negli ultimi tempi con la persecuzione evidente che ha subito, l’incomprensione, e la morte dei suoi collaboratori più stretti. Padre Carlos (Murias) era stato un giovane religioso molto legato a Mons. Angelelli, il laico Pedernera con la sua vita laboriosa da cooperativista realizzava l’opzione pastorale del vescovo in vista dello sviluppo di un modello sociale diverso.
Sappiamo che la morte di Angelelli è stata preceduta dall’assassinio di due sacerdoti e un laico, di cui il suo predecessore il vescovo Rodríguez ha iniziato la causa di beatificazione. Cos’è stato fatto di preciso fino ad oggi?
La causa dei padri Carlos de Dios Murias e Gabrielle Longueville, come quella del laico Pedernera si trova nella tappa diocesana, sul punto di concludersi. Si sta finendo di raccogliere delle testimonianze; restano poi le valutazione di questa informazione da parte dei periti diocesani che istruiscono la causa. Appena completata questa fase toccherà a me, come vescovo, la presentazione finale, e l’elevazione del processo a Roma.
Ci sono stati rallentamenti?
In termini generali no, la causa è avanzata spedita e efficacemente; certo, il cambio di vescovo e la naturale transizione che si verifica in questi casi hanno rallentato un po’, ma adesso stiamo entrando nella retta finale.
Quella di Angelelli invece a che punto è esattamente?
Siamo ai preliminari. Il processo e la sentenza del tribunale penale è recente ed era necessario attendere che venisse emessa.
E adesso?
Adesso dobbiamo riunire tutta la documentazione prodotta da monsignor Angelelli nel corso della sua vita. I testi come vescovo di La Rioja ci sono. Ma prima è stato sacerdote, rettore di seminario e vescovo ausiliare di Cordoba. Gli scritti di una persona di cui si inizia la causa di beatificazione devono essere tutti riuniti e valutati; poi, dopo la loro approvazione deve essere richiesto il parere della Conferenza episcopale argentina. In questo preciso momento ci troviamo nella tappa di raccolta dei documenti.
Durante i governi del matrimonio Kirchner si sono aperti vecchi processi ai militari implicati nella violazione di diritti umani e dei nuovi ne sono stati iniziati. Cosa pensa in proposito?
E’ difficile esprimere un parere in poche parole senza addentrarsi in tutto quello che ha vissuto e sta vivendo il paese dagli anni ’70 in poi. I processi erano stati interrotti prematuramente con le leggi di “obbedienza dovuta” e di “punto finale” del tempo di Alfonsín, come anche dagli indulti di Menem che hanno fatto piazza pulita delle sentenze già pronunciate sui capi militari. Tutto questo ha voluto dire un grande retrocesso per la nostra società. L’annullazione di questi indulti e la ripresa di processi che si erano interrotti o che erano stati congelati in conseguenza di queste leggi ha significato riprendere un cammino necessario verso la verità, garantito dai tribunali di giustizia argentini.
Ci sono altri processi che riguardano la morte o la scomparsa di religiosi?
Non ho notizie in proposito. So che la causa canonica dei religiosi pallottini assassinati il 4 luglio del 1976 aveva cominciato a muoversi alcuni anni fa, ma non ho dettagli. Un amico vescovo molto attivo in quegli anni in Argentina mi diceva che ci sono molti cristiani tra i desaparecidos e gli assassinati, cristiani anonimi che hanno dato tutto per il Regno di Dio. Meriterebbe, mi diceva questo vescovo più anziano di me, che a livello di Chiesa in Argentina si realizzasse una indagine più dettagliata che getti luce su tante vite offerte per amore del Vangelo di Gesù Cristo.
C’è chi dice che non è una buona cosa buttare sale sulle ferite aperte e che il paese ha bisogno di riconciliazione, di concordia e intesa in un momento difficile, pieno di sfide; pensiamo solo al recente default, o comunque impossibilità di pagare i debiti contratti nella loro totalità…
Personalmente sono convinto che siano necessarie sia la verità che la giustizia per poter vivere in pace. Ma è anche importante identificare bene le sfide che attraversano la società argentina per mettere a punto strumenti di dialogo tra i diversi settori e proporre un approccio che punti a realizzare consensi comuni.
Si possono avere giustizia e riconciliazione insieme nell’Argentina di oggi?
Non dobbiamo perdere la speranza. Bisogna generare spazi per favorire un dialogo intelligente che coniughi la verità su quello che è successo, la conoscenza delle sfide del nostro tempo, e la ricerca di percorsi di inclusione.
A cosa pensa?
Penso che ci sia da recuperare una cultura del lavoro, che vada incrementata la formazione e il rinnovamento dei dirigenti; credo anche, con tutti i miei confratelli vescovi, che debbano essere adottate misure urgenti in tema di narcotraffico, tratta di persone e gioco d’azzardo. Non sono temi minori, si sono piantati con forza tra di noi e minacciano seriamente la nostra stessa esistenza come società civile.