Il tempo ci confonde. Quando l’ha detto in realtà che non dobbiamo lasciarci ningunear? A Roma, in Brasile o in un aula della Scuola dell’Immacolata, a Santa Fe, quando ancora non era neanche stato ordinato e noi eravamo adolescenti che vivevano un’età felice e con poche responsabilità? Non lo so, non me lo ricordo più bene, ma non voglio neanche dipendere dai motori di ricerca di Internet, che per di più mentono spesso e volentieri. D’altra parte è difficile ricordare tutto, anche se si vorrebbe. “No se dejen ningunear”. L’unica cosa che ho ben chiara è che l’ha detto non una bensì diverse volte. E che tornerà a ripeterlo. Perché? Perche l’uomo è paziente e per alcuni aspetti, reiterativo. Ha quello stoicismo della goccia che perfora la pietra perché non si stanca, la pazienza della Fede, la speranza del Seminatore e la Carità di chi si moltiplica quanto più si concede.
Il bello delle parole sta proprio nella possibilità che racchiudono di esprimere quello che la gente sente, anche quando sragiona. Dal punto di vista della logica non si capisce come qualcuno possa coniugare a mo di verbo una parola come “nessuno” (ninguno) che è agettivo e pronome indefinito. Però lui l’ha fatto. Se l’ho avessi fatto io in quelle vecchie aule non credo che il professore Bergoglio lo avesse aprovato. Oppure si. Se c’è una cosa che non gli è mai mancata è la capacità d’adattamento alle novità, all’imprevisto, anche quando non provengono da lui.
Ningunear è un attegiamento offensivo, spregiativo, vuol dire non dare valore a qualcuno o non starlo a sentire, ignorarlo, fare come se non ci fosse, come se la sua opinione non avesse importanza, come se lui stesso contasse nulla o poco.
No, non è stato tanto tempo fa quando lo ha detto. Sicuramente era già Cardinale Primate della Repubblica Argentina e i mass media sovegliavano le sue parole, per niente diverse a quelle di adesso. Allora le radio, tv, i quotidiani riferivano: Bergoglio ha detto «non lasciatevi “ningunear”, vivete la fede che Dio vi ha dato». Riferendosi, come al solito, alla testimonianza che noi cristiani dobbiamo dare senza vergognarci.
Gliel’ho sentitio dire più di una volta: «Non lasciatevi “ningunear” come cristiani, date testimonianza». Ma anche: «Non dovete “ningunear” quelli che patiscono, quelli che non trovano lavoro o quelli che non hanni soldi”. Sempre con il messaggio a fior di pelle.
Mi confonde il tempo. Mi sento di nuovo adolescente, parlando, discutendo a volte con quella veemenza giovanile che presupponeva riuscire a far fronte a tutto, davanti al maestro gesuita che spezzava la nostra solennità giovanile con una barzelletta, una storia, un commento calcistico che ci lasciavano lì, pensosi.
“Non lasciarti ningunear”. Il consiglio era più da fratello che da padre che sa quello che ti dice e che ti risolleva l’autostima.
In quei giorni di scuola non importava se il consiglio puntava a un professore, a dei compagni che si credevano migliori degli altri o a un disperato amore giovanile che ci aveva fatto sprofondare nella depressione.
Perché quando si tratta di predicare, tutto serve. Per i soldati di Loyola qualsiasi cosa poteva essere un’arma per annunciare il Vangelo. E la parola è l’arma principale, non importa la sua correttezza idiomatica o che sia nata nelle periferie cittadine. L’importante è che sia carica di significato e possa far arrivar all’latro il messaggio di Cristo.
Traduzione dallo spagnolo di Mariana Gabriela Janún
- Quel Dio cattolico che ci “primerea” sempre
- Non “balconear” la vita, ma tuffarsi come ha fatto Gesù
- Una civilizzazione che si è “spannata” ha bisogno della speranza cristiana
- “Hagan lio”, perché la Buona Notizia non è silenziosa…
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