Gonzalo Mosca ha 63 anni ed è uruguayano di nazionalità. Da giovane, ancora ventottenne, aderì al Grupo de Acción Unificadora, GAU in sigla, una formazione di sinistra che nel 1971 partecipò alla fondazione del Frente Amplio, la coalizione che governa l’odierno Uruguay. Un giorno qualcuno lo avvertì che la polizia della dittatura uruguayana aveva ricevuto l’ordine di arrestarlo. La sua cattura era imminente. Gonzalo Mosca scappò a Buenos Aires, ma anche lì seppe che i militari argentini lo stavano cercando. Il fratello maggiore, sacerdote gesuita, si prodiga per farlo espatriare. Negli uffici delle Nazioni Unite riceve risposte attendiste. In quel momento sarebbe stato impossibile lasciare l’Argentina, gli dicono, giacché l’edificio era circondato da militari e il governo non riconosceva lo status di rifugiato. Il fratello conosceva Bergoglio e si rivolse a lui. Lo stesso Bergoglio lo passa a prendere e lo porta nel convento dei gesuiti di San Miguel, ad una trentina di chilometri da Buenos Aires. “In quel momento la repressione era fortissima” ricorda Gaetano Mosca all’intervistatrice del quotidiano di Montevideo Republica con cui ha deciso di parlare. “Mentre viaggiavamo mi chiedevo se il padre era cosciente di quello che realmente si stava giocando”.
Gonzalo Mosca trascorse diversi giorni nel convento gesuita. A chi chiedeva la ragione della sua presenza la risposta concordata era che stava facendo degli esercizi spirituali. “Di notte il padre Bergoglio mi faceva visita nella stanza e mi portava romanzi perché mi distraessi; mi portò anche una radio portatile perché potessi ascoltare musica. Erano quatto giorni che non dormivo e lui mi vedeva estremamene teso. Tutti vivevamo con moltissima tensione”.
Qualche giorno dopo Bergoglio lo chiama e gli dice cos’ha pensato per metterlo in salvo. Lui e il fratello sarebbero andati a Iguazú, alla frontiera con il Brasile e il Paraguay, e di lì in territorio brasiliano. Il piano funzionò. Gaetano Mosca riuscì ad attraversare il confine e rifugiarsi in Brasile. Di lì viaggiò a Rio de Janeiro, dove rimase alcuni mesi in una casa dei gesuiti, finché poté rifugiarsi nelle Nazioni Unite e viaggiare in Europa.
Non ha più avuto contatti con Bergoglio. Questi giorni ha voluto raccontare la sua vicenda e l’aiuto che ha ricevuto da lui, “per rendergli quello che ha fatto per me” dichiara.